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Frontalieri in home office: realtà dei fatti

La pandemia di COVID-19 ha scombussolato il mondo del lavoro: per molti datori di lavoro l’argomento «home office transfrontaliero» è stato a lungo un tabù a causa di ostacoli burocratici e rischi fiscali. Poi, però, è arrivata la pandemia e con essa l’obbligo del telelavoro. Qual è la situazione attuale?

Donna che lavora in home office

I confini nazionali in Europa non rappresentano più un ostacolo ai rapporti di lavoro internazionali ormai da tempo. Ad oggi soltanto nella regione di Basilea lavorano circa 58 000 frontalieri. Il passaggio di confine per motivi lavorativi è stato permesso anche durante la chiusura del valico dello scorso anno. Nel corso della pandemia, tuttavia, anche i frontalieri si sono trovati, laddove fattibile, a dover lavorare in home office.

Se, quando e in quali circostanze i lavoratori torneranno ad occupare gli uffici ormai deserti è ancora oggetto di discussione. A fronte delle esperienze positive con il telelavoro a domicilio imposto dalla pandemia, molti dipendenti stanno esprimendo il desiderio di una maggiore flessibilità e i datori di lavoro sono spesso disposti ad accogliere questa richiesta.

Regime applicabile ai lavoratori frontalieri

Per quanto riguarda i lavoratori frontalieri, l’esperienza dell’home office non è però priva di conseguenze sul piano giuridico. Se i frontalieri lavorano per un’azienda straniera nel loro Paese di residenza, questo può influire sia a livello di sicurezza sociale sia di diritto fiscale.

Nel caso di rapporti di lavoro internazionali, occorre innanzitutto identificare a quale diritto in materia di assicurazioni sociali è soggetto il dipendente. Il diritto europeo – che si applica anche alla Svizzera per il tramite dell’accordo sulla libera circolazione delle persone – stabilisce che un lavoratore dipendente può essere assoggettato all’assicurazione sociale di un solo Stato. In circostanze normali, ossia in assenza della pandemia da coronavirus, vi sarebbe un cambiamento della situazione in materia di sicurezza sociale se i frontalieri svolgono più del 25% della loro regolare attività professionale presso il luogo di residenza (ad es. in Germania) anziché presso la sede del datore di lavoro (ad es. in Svizzera). Inoltre, dovrebbero pagare tutti i contributi di sicurezza sociale nel loro Paese di residenza. Per le aziende, questo significherebbe un considerevole onere burocratico a livello di contabilità salariale e una maggiore responsabilità civile. Per il dipendente, infine, il cambiamento potrebbe anche comportare lacune a livello di previdenza per la vecchiaia.

Situazione attuale di deroga

Attualmente, vista la situazione pandemica da COVID-19, le autorità svizzere e quelle tedesche hanno però rinunciato all’applicazione della "regola del 25%". L’eccezione sarà valida fino alla fine di quest’anno. Se l’attività in home office dovrà essere ulteriormente proseguita, il datore di lavoro dovrebbe valutare se limitare contrattualmente l’ambito di lavoro nel luogo di residenza. Anche l’aspetto dell’imposta sul reddito gioca un ruolo nella decisione a favore o contro l’home office transfrontaliero. Le basi giuridiche relative alla tassazione dei frontalieri poggiano sulla rispettiva convenzione per evitare la doppia imposizione internazionale (ad es. la CDI Svizzera-Germania).

Conseguenze dell’home office

Lo svolgimento dell’attività lavorativa nel Paese di residenza e il venir meno degli spostamenti dal luogo di residenza al luogo di lavoro possono influire sullo status di frontaliere dei lavoratori interessati. Particolare attenzione deve essere posta a tal proposito ai cosiddetti soggiornanti settimanali il cui salario è soggetto a imposizione in Svizzera. Svolgendo l’attività lavorativa in home office in Germania, vi è il rischio di perdere lo status di soggiornante settimanale internazionale perché il limite di almeno 60 giorni di non rientro potrebbe non essere rispettato. Di conseguenza, la tassazione del salario ricadrebbe sul Paese di residenza, cioè la Germania. Grazie a un accordo temporaneo tra le autorità fiscali tedesche e svizzere, i giorni di lavoro svolti in home office a causa della pandemia di coronavirus non avranno inizialmente alcuna implicazione fiscale sullo status del dipendente. Tuttavia, ciò potrebbe cambiare in caso di recesso dall’accordo di una delle parti – possibile alla fine di ogni mese, con un preavviso di sette giorni.

Infine, occorre menzionare che il protrarsi a lungo termine di un’attività di «home office transfrontaliero» può portare alla costituzione di una stabile organizzazione d’impresa nel Paese di residenza del dipendente, dove il datore di lavoro diverrebbe soggetto all’imposta sugli utili imputabili allo stabilimento d’impresa. In particolare, ciò potrebbe rivelarsi problematico qualora il dipendente stipuli contratti per l’azienda durante il telelavoro.

Attualmente, né i datori di lavoro né i frontalieri interessati devono temere conseguenze fiscali o in materia di sicurezza sociale a causa del telelavoro. Per evitare spiacevoli sorprese, nel caso di frontalieri che lavoreranno (ulteriormente) in home office – indipendentemente dalla pandemia – andrebbe però osservato quanto qui riportato. I datori di lavoro interessati sono quindi invitati fin d’ora a informarsi nel dettaglio.

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